(Leggo – F.Balzani) Un’altra giornata in bianco, o meglio in Blanc. Passano
i giorni ma la panchina della Roma continua a restare desolatamente
vuota e all’orizzonte non sembra più così chiara la figura del tecnico
francese. Anche ieri, infatti, Sabatini è tornato da Milano senza alcuna
firma e si è preso altre 24 ore per decidere se chiudere o meno con
Blanc, tecnico che non fa impazzire il ds ma che appare al momento come
unica alternativa credibile.
A Milano Sabatini ha incontrato l’agente del francese, ma – stando a quanto trapela da Trigoria – ha fatto anche altro. Cosa? Mistero. Ma diverse vie portano al nome di Roberto Mancini.
Il suo amico ed ex agente De Giorgis, non smentisce né conferma mentre il tecnico di Jesi avrebbe già mostrato il suo gradimento. Anche la piazza, nonostante il passato laziale del Mancio, non sarebbe contraria. La dirigenza giallorossa oggi terrà un vertice a Trigoria e chiederà in conference call a Pallotta uno sforzo in più.
Non tanto i soldi per l’ingaggio di Mancini (basterebbero 4 milioni),
ma la promessa di un paio di acquisti importanti (Modric e Nainggolan?)
per convincere il tecnico che sta trattando la buonuscita col City. Mancini
era già stato contattato da Baldini, ma secondo il dg fino a qualche
giorno fa non c’erano i presupposti per arrivare a un allenatore top.
E le difficoltà restano tutt’ora. Per questo la Roma sta tenendo in caldo Blanc che ieri la stampa francese dava con troppa fretta già sulla panchina della Roma.
Insieme a lui – sempre secondo i media transalpini – però non
arriverebbe Candela (che ha fatto solo da intemediario), ma il vice
Gasset e l’ex-centrocampista Boghossian. L’affare si chiuderebbe con un
contratto biennale da 2,5 milioni a stagione (compresi i bonus). «So che
sono sulla buona strada, sarei felice per Laurent anche se Roma è una
piazza particolare», ha dichiarato il ct francese Deschamps che (guarda
caso) fu proprio tenuto in stand by due anni fa dalla Roma prima di
essere scaricato. Sogno Mancini a parte, restano in piedi le piste
Garcia (pallino di Sabatini) e di Colantuono nome che è risultato
gradito ai tifosi.
CORSPORT (G. DOTTO) - La questione è
concettualmente bacata alla radice. Aria fritta. Aquile monche. Il tema
non è chi sia la prima squadra di Roma, ma se esista davvero un’altra
squadra oltre la Roma. Quesito meno tracotante e villano di quanto
sembri. E di facile soluzione, senza star lì a pescare nel torbido di
quel bordello assolutamente irrilevante che è la Storia (date, prove,
testimonianze), per sancire da pedantoni un prima e un dopo. Ciò che fa
della Roma non la prima ma l’unica squadra della capitale è sotto gli
occhi di tutti. Un’evidenza talmente commovente che fa di me, giuro,
cardioromanista irrecuperabile che dalla curva fissava la Madonnina di
Monte Mario per istigarla a miracoli sportivi e miracoli tout court (un
gol di Colausig, per dirne una), quasi un laziale da riporto
sentimentale.
Il dramma dei presunti cugini è ontologico, prima ancora che
storico. Roba seria. La Lazio non esiste. Per meglio dire, non ce la fa a
esistere. Ci prova, poverella, le tenta tutte, ma proprio non ci
riesce. Negli ultimi quarant’anni ha messo insieme anche cose
ammirevoli. Ha vinto scudetti, coppe, derby, l’ultimo pochi giorni fa.
Non puoi dirle niente. Fa tutte le sue cose per bene, con calligrafica
compostezza. Vince, esulta, si dichiara, va sotto la Nord, dice “Roma
merda” e, insomma, fa tutto quello che deve fare una brava ragazza in
certe occasioni. Ma non esiste. Le sue vittorie evaporano rapide, come
certe bolle colorate soffiate da pischelli che hanno fretta di passare a
giochi più divertenti e duraturi. Le sfiori e svaniscono. Ecco, la
Lazio è una bolla. Non consiste. O come certe grida manicomiali. Parti,
esulti, ti sbracci, ti metti le corone in testa, ti giri e dietro non
c’è nessuno. Vittorie e corone immaginarie. (...)
Diciamo la verità. Sfilare tra due ali di biancocelesti plaudenti per
Totti e compagni è stata una gogna (un Mishima romano d’altri tempi si
sarebbe dato piuttosto un harakiri esemplare) ma se, alla fine, non è
stato poi così terribile è perchè a battere quelle mani c’era,
schierato, il nulla. La Lazio è una squadra invisibile. Malattia
incurabile. E non date la colpa ai media. I media hanno un olfatto
infallibile. Vanno dove le cose esistono. La Roma esiste a prescindere.
Esiste persino di questi tempi, che è tutto dire. Si sa più di un
mancato allenatore romanista, quel grullo di Allegri, che di un
allenatore reale, in carne ed ossa come Vladimir Petkovic. (...)
Tutto questo Lotito lo sa. E rosica. Vive tutti i giorni sulla sua
pelle la disperante beffa di essere ma non di esistere. Si agita. Fa
sforzi sovrumani. S’è inventato una Lotiteide. Se non sono aquile, sono
proclami. Lui e Tare, diciamola tutta, magari averceli. Sanano bilanci,
scovano giocatori, acchiappano trofei, non sbagliano un allenatore, ma
poi si guardano dietro, cercano intorno, e cosa vedono? Un’aquila
spelacchiata e il deserto. E una macchia d’irriducibili tifosi. Per lo
più inguaribili romanticoni e intellettuali raffinati, che colgono la
bellezza assoluta e nichilista del tifare il nulla. Quel dolore sottile,
quello spleen stordente della sottrazione. Non a caso, il tifoso
laziale si esalta nella disgrazia. Quasi quasi, se rinasco, rinasco laziale.
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