lunedì 21 gennaio 2013

UN ALTRO FALLIMENTO...


CORSPORT (G. DOTTO) - Quando Totti scaraventa l'equivalente di un travertino alle spalle di Handanovic sembrava l'inizio e invece era la fine. La Roma dura mezz'ora. Spenti alla meta per un pareggio che si porta addosso la mediocrità delle cose inutili, delle occasioni mancate (probabilmente l'ultima) e la conferma che il vento zemaniano è appena una bava tiepida che sta lasciando solo foglie secche, illusioni a mazzi e l'orribile replica di un incubo che sembrava un'esclusiva del desaparecido mistero asturiano (chi era, da dove è venuto, dov'è andato?). Nella partita che doveva mostrare al mondo una squadra furiosa con vista e zanne sull'Europa che conta, una Rometta molle e spallata che si ritrova fuori anche dall'Europa che non conta, superata in classifica anche dal Milan. Vogliamo chiamarlo fallimento? Ma sì, chiamiamolo fallimento.
Lo scandalo di Firenze non stava nella rottura del dogma zemaniano, ma come questa rottura avesse disvelato una verità fin lì sepolta sotto valanghe di gol subiti, e cioè che la difesa della Roma, messa così, con quei tre dietro, è probabilmente una delle più forti del campionato, capace perfino di coprire uno dei portieri più scarsi mai apparsi a questi livelli (anche ieri sera esilaranti numeri alla mister Bean). Una Roma forse meno "bella" (ma quante volte lo è stata?) ma più equilibrata e dunque più capace di sfruttare il suo talento. Da qualche botola divina un suggeritore aveva regalato a Zeman la chiave giusta, ma la presunzione infinita del boemo ha ricacciato l'assist nel buio delle cose che meritano il suo sommo disprezzo. Citando a sproposito, per spiegare il suo verbo, leggende del calcio alle quali la Roma somiglia come un topo spompato a un cavallo arabo.
Florenzi e Bradley in mezzo, Marquinhos dietro hanno cercato di tenere su le braghe a questa Roma tremula, capace di riesumare un'Inter che aspettava solo il colpo di grazia. C'era appena Totti, ma non c'erano Osvaldo, Lamela e De Rossi, Non c'era e non c'è mai stato Balzaretti, un'ombra che nemmeno cammina. Se aggiungiamo che Zeman in panchina ha i tempi di Mosè quando scala il Sinai, il resto vien da sé.

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